A casa tutti bene, il nuovo film di Gabriele Muccino, mi dà la ghiotta occasione di ritornare sul concetto di normalità, su cui mi sono già espressa, ma di farlo in modo più contestualizzato e riferito alla quotidianità.
Noi tutti abbiamo un’idea precisa di cosa significhi l’amore, la famiglia, essere genitori e figli, essere giovani e anziani, essere ricchi o poveri, essere sposati o separati. Sono argomenti su cui ognuno potrebbe tranquillamente esprimere un’opinione.
Ma quanto siamo disposti a considerarla appunto un’opinione e non la verità? Quanto riteniamo che sia “normale” che l’amore richieda certe cose, che la famiglia sia in un certo modo, che i genitori debbano fare così e cosà, etc? Quanto possiamo considerare che esiste sempre almeno un altro modo di osservare le dinamiche relazionali?
La varietà umana presentata dal film è straordinaria. I personaggi sono molti e diversi e credo nessuno possa resistere alla tentazione di identificarsi con qualcuno, empatizzare con qualcun altro, infastidirsi, indispettirsi e osteggiare apertamente certi comportamenti e modi di vivere.
Mi interessa vederne insieme alcuni.
Paolo
Il classico figlio scapestrato, alla fine dei quaranta, separato, con una figlia che non vede da tempo, che insegue, a differenza dei fratelli, i suoi sogni e inizia una carriera da scrittore, rinunciando a lavorare nel ristorante di famiglia. E se, invece, potessimo descriverlo come un uomo determinato a trovare la sua strada e ancora alla ricerca dell’amore di cui ha bisogno? E quindi, altro che scapestrato! Ma l’escluso perchè diverso?
Carlo
Fratello di Paolo, separato da Elettra con cui ha una figlia quasi diciottenne, ora sposato con Ginevra con cui ha una figlia di 9 anni. Un uomo che cerca in tutti i modi di tenere insieme tutto, un brav’uomo, come diremmo tutti, che cerca strenuamente, al rischio del collasso psichico, di rassicurare, includere, avere cura, di tutti tranne che di se stesso. E che, alla fine, verrà abbandonato. Una figura positiva nel film, ma a costo del proprio benessere. E se fosse invece un povero uomo, un piccolo uomo come diceva Mia Martini, che sa solo fare il buono e subisce, senza sosta, asseconda i desideri di tutti e si ritrova solo, tremendamente e, pare, irrimediabilmente, solo. Anzi, non proprio solo, con tonnellate di responsabilità da gestire.
Beatrice
Sposata con Sandro, cugino di Paolo, Carlo e Sara. Sandro ha una grave forma di demenza di Alzheimer. Donna presente, innamorata, paziente, che sta prendendo in considerazione la possibilità di ricoverare il marito in una casa di cura. E che, a un certo punto, attivata da tutte le tensioni familiari, si apre a uno sfogo doloroso e aggressivo nei confronti del marito e dello sfinimento che prova ormai nello stargli accanto. Troppo semplice viverla in quel momento come cattiva ed egoista. E’ umana, molto umana. E trova la forza di concedersi questo momento di debolezza che il marito implicitamente coglie e che li fa ritrovare, più innamorati di prima, e pronti ad affrontare il resto della vita insieme.
Luana
Fidanzata di Riccardo, fratello di Sandro e cugino di Paolo, Carlo e Sara. Incinta e in gravi difficoltà economiche, vede Riccardo ricevere un netto rifiuto all’aiuto economico chiesto in nome di un passato di collaborazione lavorativa fallimentare che non dà possibilità di una seconda occasione. Vede una famiglia tanto decantata e idealizzata sgretolarsi di fronte alle emozioni e ai vissuti personali e trova la forza di urlare a tutti la loro piccolezza e grettezza, rivelando anche duri segreti di famiglia – in particolare il tradimento di Diego nei confronti di Sara. Anche qui, facile considerarla una pazza che si permette di rovinare l’atmosfera. Ma emerge una verità altra, una donna molto innamorata che non regge al peso delle difficoltà economiche, soprattutto in vista della nascita di un figlio, ma soprattutto non tollera nel modo più assoluto il trattamento che la famiglia riserva a Riccardo, vituperato ma “usato” per suonare il piano e raccogliere la famiglia in un canto corale ed emozionante.
Niente è come sembra.
Con questa attenzione lavoro con le persone. Mi metto nei loro panni e cerco di capire come sono arrivati a questo loro presente, fatto anche di dolore a cui cerchiamo insieme di dare voce.