Solo 1 persona su 4 che soffre di depressione consulta gli specialisti in grado di curarla.
Il dato è preoccupante, se si pensa a quanto facilmente ci rivolgiamo al medico per qualsiasi problema fisico cronico, cioè ripetuto nel tempo e con un livello di disagio che supera le possibilità di chi ne soffre. Questa difficoltà nel rivolgersi a uno specialista della salute mentale, uno psicologo psicoterapeuta, è dovuta alla presenza di pregiudizi molto radicati sulla depressione. Parola usata e abusata, spesso utilizzata per riferirsi a lievi sbalzi di umore, magari stagionali, a un temperamento inquieto e incline alla riflessione e alla malinconia.
La depressione è altra cosa: è una condizione di profonda angoscia costante, con alterazione dell’appetito, del sonno e della capacità di affrontare con serenità le più piccole e routinarie attività quotidiane. Non avendo spesso una causa riconducibile a un evento singolo e traumatizzante, è vissuta con un senso di vergogna e di colpa per cui vi è la tendenza a non parlarne e a tenerla nascosta. Le persone che soffrono di depressione, pur di preservarsi dal giudizio altrui, diventano bravi attori, in grado di nascondere anche a se stessi il proprio mal-essere.
Un pregiudizio ancora importante riguarda la figura dello psicoterapeuta e può essere così esemplificato: “Lo psicoterapeuta cura i matti: se mi rivolgo ad uno psicoterapeuta, sono anch’io matto o sono considerato tale”. Ebbene sì, nonostante i tempi moderni, le conoscenze diffuse, la chiusura dei manicomi, gli studi approfonditi sulle psicosi, pensiamo ancora ai matti, ai pazzi, li temiamo e vorremmo starne lontani. Figuriamoci pensare di esserlo noi!
Basaglia diceva: “Da vicino nessuno è normale”. Dopo anni di esperienza e di vita, non posso che essere d’accordo con lui. Anche il concetto di normalità meriterebbe un approfondimento, ma ne parlerò in un prossimo articolo.
Un altro pregiudizio resistente riguarda il ricorso ai farmaci sotto prescrizione di uno psichiatra: gli psicofarmaci sono dannosi. In realtà la terapia farmacologica può essere dannosa solo se assunta senza l’assistenza dello specialista. Questo preconcetto, come quello secondo cui gli antidepressivi danno dipendenza, sono figli dell’assimilazione, a livello d’immaginario collettivo, tra gli psicofarmaci e le sostanze stupefacenti. In realtà è scientificamente dimostrato che gli antidepressivi non danno dipendenza e che la loro sospensione, graduale e controllata, non determina alcuna astinenza nel tempo.
Altro pregiudizio diffuso è ritenere che sia sufficiente uno sforzo di volontà per superare il disturbo depressivo. Chi ha sofferto di depressione si è sentito dire spesso di fare appello alla propria forza, che è proprio ciò che manca in quel momento; oppure di sorridere alla vita, che è bella, proprio quel sorriso che non si è più capaci di fare perché si è perso il senso di fiducia, in se stessi e nel futuro. Tale pregiudizio prescinde dal livello sociale, culturale e intellettivo ed è compito dello specialista sottolinearne la falsità e i danni conseguenti, poiché va ad alimentare nei pazienti i già presenti sensi di colpa.
L’insieme di tali pregiudizi, profondamente radicati nella società, spiega i motivi per cui solo 1 paziente su 4 riceve una diagnosi corretta e di conseguenza una cura adeguata. Grazie ad anni di ricerche fruttuose, oggi ci sono terapie farmacologiche e psicologiche che producono notevoli miglioramenti.
Ci vogliono tempo e pazienza, soprattutto verso se stessi. E anche denaro, certo, perché fare finta che non conti? Ma, se ci pensiamo bene, credo che ognuno di noi possa rinunciare a qualcosa per fare un investimento sul proprio ben-essere.
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